Scritture Contabili

Quote di ammortamento deducibili anche se non annotate sui registri contabili

Il famoso doppio binario, civilistico e fiscale, sul quale le imprese italiane devono districarsi tra la corretta predisposizione dei prospetti di bilancio e la corretta determinazione delle imposte, non è raro che talvolta generi qualche perplessità sul corretto trattamento di alcune specifiche situazioni.

La questione è in un certo qual modo semplice: se le quote di ammortamento di beni ammortizzabili, in mancanza di annotazione sia sul registro dei beni ammortizzabili, sia sul libro giornale, sia sul registro degli inventari, possano essere comunque dedotte fiscalmente nonostante ciò.

Come spesso accade, conflittuali punti di vista sulla medesima questione conducono in Cassazione; dove è stata appunto posta la questione, e la cui risposta si è concretizzata nell’ordinanza numero 7449 del 17 marzo 2021.

La Corte di legittimità ha analizzato il problema percorrendo il diritto e addentrandosi al suo interno lo ha interpretato.

Sul piano normativo l’articolo 16 del DPR 600/73 stabilisce il contenuto analitico del registro dei beni ammortizzabili, a cui le imprese devono fare riferimento per conoscere la base informativa da sostenere per legittimare la deducibilità delle quote d’ammortamento dei cespiti.

L’articolo 2 del DPR 695/96 stabilisce che le annotazioni previste per questo registro possano, in alternativa, essere riportate sul registro degli inventari, oppure, per i contribuenti in contabilità semplificata, sul registro IVA degli acquisti.

Infine, l’articolo 12 comma 1 del DPR 435/01 stabilisce la facoltatività della tenuta del registro dei beni ammortizzabili a condizione che:

  • “le registrazioni siano effettuate nel libro giornale” (lettera a);
  • su richiesta dell’Amministrazione finanziaria, siano forniti, in forma sistematica, gli stessi dati che sarebbe stato necessario annotare nei registri” (lettera b).

Quindi, fermo restando che il contribuente debba essere in grado di fornire un determinato contenuto informativo sui cespiti e sui relativi ammortamenti, queste informazioni non devono necessariamente essere riportate sul registro dei beni ammortizzabili, il quale, oggi, è di fatto facoltativo, ma possono essere legittimamente riportate con modalità alternative; la legittimità di ciò comporta, come conseguenza, la deducibilità dei relativi costi.

Che tra quelle modalità che abbiamo definito alternative ci sia l’annotazione dello stesso contenuto informativo sul libro inventari o sul libro giornale, appare evidente. Ma se questo non è riportato su nessuno di questi registri?

È qui che l’ordinanza, dopo aver percorso il diritto lo interpreta e lo chiarisce. 

Secondo la Corte di Cassazione, infatti, l’articolo 12 comma 1 del DPR 435/01 ha introdottouna modalità di documentazione del costo ammortizzabile ulteriore e autonoma rispetto a quella della registrazione nel libro giornale”, rappresentata dalla capacità dell’impresa di fornire all’Amministrazione finanziariagli stessi dati che sarebbe stato necessario annotare nei registri”.

Quindi, mentre la prassi ha finora interpretato i punti a) e b) del comma 1 dell’articolo 12 del DPR 435/01 in chiave sommatoria, richiedendo la sussistenza contemporanea di entrambe le situazioni, la suprema Corte chiarisce che le due condizioni sono autonome, e che, di conseguenza, è sufficiente la sussistenza di una sola delle due per realizzare la legittimità del comportamento del contribuente. E, in effetti, la norma in nessun punto accenna alla necessità della coesistenza di entrambe le fattispecie.

Di conseguenza, quindi, se l’impresa, su richiesta dell’Amministrazione finanziaria, è in grado di fornire a questa i medesimi dati che avrebbe dovuto annotare sul registro dei beni ammortizzabili o sul libro degli inventari o sul libro giornale, le quote di ammortamento dei cespiti saranno comunque deducibili, anche se queste informazioni non sono annotate in nessuno di questi registri.

Per terminare la Corte precisa pure che le medesime considerazioni debbano valere anche per quei contribuenti che, pur avendo tenuto il Registro dei beni ammortizzabili, “lo abbiano fatto in modo irregolare, ad esempio omettendo […] determinate indicazioni”.